Svegliarsi dal pisolino pomeridiano e godersi il sole rincorrendosi con i cani intorno casa e facendo foto giù nel campo. Decidere di uscire nella luce arancio-fucsia del tramonto per andar girando fra i musei aperti e sorprendersi emozionati come bambini in gita di fine anno scolastico!
Avevamo anche la cena al sacco: prugne e fichi secchi, noci, banane e gallette di mais (always go vegan!! 😀 ).
Destinazione: Museo del Biroccio Marchigiano, Filottrano (An).
Il Biroccio era il mezzo agricolo a due ruote (dal latino birotium) trainato da buoi, tipico del Centro Italia ed in uso fino ai primi decenni del Novecento. In particolare, quello marchigiano si distingueva per le sue decorazioni pittoriche e per i colori. Ogni provincia aveva la sua tinta predominante e caratteristica. Quella del territorio di Ancona e Macerata era il rosso, che faceva da sfondo ai paesaggi della zona, a motivi floreali e a ritratti femminili ( da cui il detto : “Me pari ‘na pupa del biroccio!”).
Il pezzo più antico presente nel museo di Filottrano risale all’anno 1888 ed è affascinante osservare come cambiassero nel tempo le rappresentazioni pittoriche, confrontandole con i birocci dei primi del Novecento o degli anni ’30 e ’40. I ritratti delle “pupe”, infatti, mostrano via via donzelle sempre più curate negli abiti e nelle acconciature, sempre meno campagnole e con tratti più raffinati.
Ma il bello della visita arriva quando la guida ci annuncia che nelle stanze seguenti alla prima ci aspetta una sorpresa.
Ci troviamo in un edificio del 1600. Le luci si spengono. Solo grosse candele ad illuminare gli antichi ambienti dai soffitti altissimi e i pavimenti in cotto. Attilio, Elena e gli altri bambini presenti, d’un tratto smettono di parlottare (con immenso piacere della guida e anche nostro! 😉 ) e restano ad osservare estasiati la scena.
Siamo in una cucina dal grande camino acceso: una madre intenta a sferruzzare seduta davanti al fuoco, il marito attorno al tavolo, la figlia impegnata in qualche faccenda domestica. “Mamma, guarda, non sono manichini, si muovono!! Sono persone vere!!”. Il museo diventa museo vivente!
All’improvviso, dall’altra stanza, un rumore. Qualcosa batte. O qualcuno. I piccoli si aggrappano alle gambe dei genitori, c’è chi si fa prender in braccio. Di sicuro siamo tutti curiosi di sapere come procederà la storia.
E’ il momento della leggenda. Nell’altra stanza troviamo un enorme telaio e una figura incappucciata che tesse. Tesse fili d’oro… Chi potrà mai essere? La interroghiamo. Lei è la Sibilla, la maga saggia e potente che vive in una grotta del Monte Vettore…da cui il nome dei Monti Azzurri, i Sibillini. E i suoi fili d’oro nient’altro sono che i raggi del sole! Attorno alla maga una moltitudine di fate, tutte prese a ballare la Caròla, tipica danza medievale che poi evolverà nel Saltarello. Le fate della Sibilla tengono in mano le castagnette (nacchere) e le suonano continuamente scendendo dalla montagna e risalendo verso la grotta, per coprire il rumore dei loro passi, il calpestio di quei loro piedi caprini, adatti appunto agli scoscesi terreni montani. La leggenda vuole che, ogni volta che una fata danzava il Saltarello battendo le castagnette, l’uomo o il ragazzo che veniva coinvolto nel ballo venisse “infatàto” e condotto nella grotta della Sibilla. La maga era ben contenta di avere compagnia, ma ad un certo punto l’affollamento divenne tale da essere eccessivo e la maga cacciò via tutte le fate e tutti gli ospiti vietando loro di tornare. Si crede che queste fate ballerine si aggirino ancora nelle nostre valli e campagne e che sia bene per gli uomini di controllare i piedi delle loro compagne di ballo allorché si apprestano a danzare il Saltarello: dovessero scorgere dei piedi caprini, corrono il rischio di venir “infatàti”!
Alla fine della visita le luci vengono riaccese per permetterci di ammirare anche i birocci delle altre province marchigiane, caratterizzati dai colori verde e blu (tinte dei paesaggi costieri delle zone di Pesaro ed Ascoli Piceno).
Sempre in tema di Biroccio, la mostra Filottrano Arte 2000. Storia e modernità dal Biroccio alla Moda.
Decine di artisti italiani e stranieri sono stati chiamati a reinterpretare la decorazione della sponda del Biroccio, sullo stesso supporto ligneo delle medesime dimensioni. Tecniche, colori, soggetti, espressioni, sensibilità e sguardi diversi, tutti rivolti, però, al significato storico e culturale di questo mezzo a due ruote. Magnifica l’idea di rivolgere anche ai bambini visitatori della mostra la stessa domanda rivolta agli artisti: “cosa dipingeresti su un Biroccio?”. Armato di foglio e pennarelli, Attilio ha dato la sua risposta: “Un cuore speciale…con un motore blu”.
Assieme alle “tavolette”, fra le quali ve n’è anche una di Valeriano Trubbiani, sono in mostra anche 141 bozzetti originali di abiti, creati da giovani stilisti, proprio per costruire un ponte fra la tradizione contadina e la modernità dell’industria tessile e sartoriale così fortemente radicate nel territorio filottranese.
Proseguiamo infine il giro nella notte dei musei verso la mostra permanente dedicata alla Battaglia di Filottrano, che segnò tragicamente la città durante la Seconda Guerra Mondiale, in un martirio durato dieci giorni e conclusosi il 9 luglio del 1944, grazie alla Divisione Paracadutisti “Nembo” del Corpo Italiano di Liberazione e al 2° Corpo d’armata polacco.
Serata conclusa con un bel bagaglio di nuove scoperte, bambini entusiasti e la voglia di andare più spesso alla ricerca dei gioielli nascosti proprio qui, a due passi da casa.
Ciao, amici. Shanti!
valeria balzi
Ottimo articolo, interessante ed emotivamente convincente
naturalentamente
Grazie, Valeria!
Felice che qualcuno abbia notato questo post scritto con tanta passione. 🙂