E’ sempre bello tornare a condividere con voi una nuova intervista, e lo è ancora di più se la persona intervistata è una donna di grande valore ed impegno come Antonella Gallino, che ama definirsi libera ricercatrice in spesa contadina.
Ho avuto modo di scoprire il suo meraviglioso progetto, che connette fra loro piccole virtuose realtà agricole ed acquirenti, leggendo sul web articoli dedicati al tema della filiera corta e della spesa alimentare consapevole. Una volta entrata in contatto con Considero Valore.it mi sono letteralmente immersa nel blog di questa incredibile donna che ha abbracciato il cambiamento per vivere in accordo con i propri ideali , nella sua scrittura appassionata, nella sua visione della vita e del mondo che risuona in perfetta armonia con il mio sentire.
Vi presento, con estrema gratitudine per averla ospite su Naturalentamente, Antonella Gallino.
Cara Antonella, da consulente editoriale e cittadina milanese a “libera ricercatrice in spesa contadina” abitante della provincia piacentina, il salto deve essere stato considerevole. Ci racconti da dove è arrivata la spinta, come hai affrontato il volo del cambiamento e da dove nasce l’espressione poetica da te coniata per autodefinirti?
Ho fatto la classica fuga dalla metropoli, alla ricerca di un contesto più naturale, più lento e ossigenato. Devo molto a Milano e non ci ho mai sputato sopra, ma da tempo avevo iniziato a soffrirla. È una città con molta socialità, ma poca natura. Con tante opportunità, ma anche molto caotica. Viverci costa caro e la qualità della vita è proporzionata a quello che ti puoi permettere. Iniziavo a soffrire molto la sperequazione sociale e contemporaneamente non sono mai stata interessata alla carriera in senso manageriale.
Sono venuta ad abitare in provincia di Piacenza, la città dove ero cresciuta da piccola e che avevo lasciato 30 anni prima. In un certo senso è stato un ritorno, ma a distanza di tanto tempo e in un contesto nuovo, perché anziché la città, ho scelto la campagna: i colli e l’Appennino sono bellissimi. Ho affrontato il salto tuffandomici, con curiosità e desiderio. Sono ripartita quasi da zero. Avevo bisogno di natura e silenzio, di respirare, di imparare cose nuove e di colmare grandi lacune.
L’espressione ‘libera ricercatrice’ nasce dal fatto che sto facendo una ricerca libera, non asservita. Sono da sempre e per natura una freelance: amo fare le cose per scelta e senza padroni. La spesa contadina, per me, è contemporaneamente una passione, l’oggetto di una ricerca professionale e una felice consuetudine. Da quando vivo qui, progressivamente, ho convertito i miei approvvigionamenti a una spesa di relazione, quella che spesso chiamo ‘spesa umana’. Mi piace comprare il cibo dalle mani di chi lo ha coltivato: così posso scegliere con più giudizio e informazioni (partivo da un’ignoranza abissale) e sostenere un settore in cui credo, con gratitudine a chi ci lavora per me.
Nel manifesto del tuo progetto leggo con cuore contento che i tuoi valori coincidono con quelli di Naturalentamente. Puoi approfondire con noi il concetto di “rispetto del patto etico, economico e generazionale tra le persone”?
[Ora che me lo chiedi, mi rendo conto che è una sintesi altisonante e sibillina nello stesso tempo :)]. Significa guardare al futuro, anziché solo al presente; guardare alla comunità umana, anziché solo a se stessi. Significa fare delle scelte ponderate, che tengano conto della sostenibilità ambientale, economica e sociale, ossia della ricaduta nel medio periodo. Significa lavorare non a discapito delle risorse o delle prossime generazioni, ma per il bene, l’ambiente e l’opportunità comune.
Spero non sembrino parole vuote… per il lavoro che faccio cerco sempre di rifuggire il linguaggio vago o ritrito, ma è chiaro che qui sto facendo una sintesi, che poi va calata nelle scelte del proprio quotidiano. Per me l’obiettivo è consumare meno, di conseguenza anche produrre meno; so che alcuni non sono d’accordo, perché fa molto recessione. È un senso del limite, unito alla cognizione che le risorse a nostra disposizione sono finite e che ci danniamo per circondarci di superfluo, che poi diventa rifiuto.
Vorrei si producessero meno cose, meno beni e più servizi – o comunque beni che contengano un servizio. Per esempio il cibo, se prodotto bene, è un servizio enorme: di rispetto dell’ambiente, di presidio del territorio, di collocamento sociale, di salute e welfare collettivo.
La mia famiglia da circa 5 anni fa spesa attraverso un G.A.S. sorto spontaneamente dall’incontro di esigenze condivise da più famiglie sul nostro piccolo territorio. In primis, la volontà di uscire dal circuito della grande distribuzione per tornare ad un rapporto diretto con i piccoli produttori locali, per acquistare prodotti più naturali, di maggiore qualità, buoni anche per l’ambiente e la biodiversità. Qual è il tuo punto di vista sui G.A.S., realtà ancora sconosciuta ai più, sebbene in sempre maggiore espansione?
Penso bene dei Gas e, benché non faccia parte di alcun gruppo (resto un battitore libero, anche se organizzo o partecipo spesso a cordate di acquisto), ho studiato molto il mondo del consumo critico e indirettamente lo frequento, tramite altri gasisti amici. Parlare di Gas richiederebbe un articolo a parte. Lo scopo è bellissimo, la realizzazione varia caso per caso. Alcuni gruppi sono più militanti e di reale sostegno ai produttori, altri meno. Parlo da osservatore bilaterale, ascoltando anche le piccole aziende che servono i Gas.
Non credo sia una realtà sconosciuta, anzi credo piuttosto che sia in fase di relativo declino, dopo il boom di qualche anno fa – almeno dal mio punto di osservazione. Oggi i competitori sono cresciuti ulteriormente e i grandi player dell’e-commerce propongono un’esperienza d’acquisto sempre più parcellizzata e tutt’altro che slow.
Io per la verità apprezzo molto la tecnologia e i servizi online applicati alla filiera corta, anche laddove ci sia un grado di separazione che faccia da rivendita e distribuzione (ne ho in mente diversi e non demonizzo affatto il margine di intermediazione, se è uno e corrisponde a un servizio intelligente, di selezione ragionata). Così come apprezzo molto le piattaforme e le app che hanno semplificato e reso più efficiente la gestione gli ordini dei Gas. Il digitale al servizio delle buone cause è un facilitatore enorme.
Pensi che la sensibilità degli Italiani su questi temi si stia affinando, che siamo di fronte ad un risveglio, seppur lento, delle coscienze?
In Italia noi saremmo nel Paese del Bengodi, se ci accorgessimo del nostro capitale alimentare e ambientale – anche in ottica turistica. Sì, la sensibilità si sta affinando, ma il tempo è poco, la sconoscenza tanta (se mi consenti questo termine) e il mondo va nella direzione dei grandi oligopolii. Ci vuole tempo non solo per acquistare, ma anche per informarsi e riappropriarsi della stagionalità, della biodiversità ecc. La spesa consapevole è un work in progress perenne, un’università che, una volta iniziata, non finisce mai. Capire un alimento basandosi prevalentemente sull’etichetta, per quanto ben fatta (e ci mancherebbe), è un’utopia totale.
Bisogna arrivare a scegliere i propri fornitori – diretti o indiretti – e fidarsi. Poi ci vuole una presenza alla propria economia domestica. Ci vuole qualcuno che ci insegni a risparmiare e far di conto, a raffrontare costi e ricavi, a comprendere il significato e l’ammortamento nel tempo di una voce di spesa. A noi fa fatica spendere oltre un certo tot per il cibo, sia perché il parametro della grande distribuzione è al ribasso, sia perché siamo iperconsumisti altrove. E non sto parlando dell’élite del food.
Tu preferisci usare il termine “acquirente” piuttosto che “consumatore”. Ci racconti perché, quali sono le sfumature di significato che rendono i due termini non equivalenti?
Una volta le nonne dicevano: «Attento, che si consuma!», riferito a un bene durevole. Oggi siamo progettati come specie da consumo, con l’aggravante che per di più è un consumo usa e getta, a vita breve o brevissima. Dunque urge definirsi in un altro modo; mi sembra che il termine ‘acquirente’ ponga più l’accento sulla scelta positiva, volitiva, cosciente. Un giorno non lontano potremmo arrivare a definirci ‘finanziatori’, così che il gesto sia ancora più chiaro.
Le aziende virtuose che hai incontrato in questi anni raccontano storie di lentezza e di pacifica rivoluzione: ce ne sono alcune che ti hanno colpita particolarmente? Ti va di condividerle con noi?
Tantissime. L’Italia è un mosaico di piccole realtà coraggiose e meritevoli, che fanno grandi sacrifici per amore della natura e lavorano con cura artigianale, per non dire maniacale.
Ne dico una per tutte. Mi ha colpito un giovane allevatore biologico di api, classe 1989, che sta qui sugli Appennini, un territorio in totale abbandono. Una volta mi ha detto: «Ho pensato più volte di chiudere l’attività. Ma se chiudo io, viene meno l’equilibrio di tutto l’ambiente».
Ci illustri la tua dispensa tipo, quali alimenti non mancano mai sulla tua tavola e, perché no, qual è il tuo piatto preferito?
Frutta e verdura fresca di stagione, erbe aromatiche, legumi secchi che ho comprato direttamente dai produttori, cereali in chicco di tutti i tipi (dal riso al grano saraceno), farine macinate a pietra il più possibile fresche, qualche pacco di pasta artigianale fatta bene, frutti e semi oleosi, olio extravergine, miele, conserve e composte, qualche scorta, sugo o zuppa che ho surgelato. Sono molto basica. Acquisto uova, yogurt e latticini quando la provenienza è stimabile e la lavorazione artigianale. Stessi criteri per carne e pesce, che entrano raramente nella mia dieta, ma non li ho aboliti del tutto. Frequento il mondo del vino naturale e ho la cantina piuttosto fornita.
Premesso che sono fan del regno del salato, i miei piatti preferiti potrebbero essere la parmigiana di melanzane fatta bene, magari 100% vegetale, o gli spaghetti pomodoro e basilico, o una pizza rossa, o polpette di legumi tipo falafel… Piatti saporiti ed essenziali, classici della tradizione mediterranea, ma con prodotti di filiera di cui possa assaporare bene la consistenza e il gusto.
Secondo me, una spesa più lenta, consapevole, al ritmo con le stagioni fa bene al nostro corpo, all’ambiente ma anche alla nostra anima. Sei d’accordo? Cosa ne pensi?
Il nostro non è un tempo lento. È un tempo avido, concitato, che ci divora anche perché siamo noi stessi mobili, infatuabili e poco radicati. Il tempo però non è l’unico parametro. Quando incoraggio la ‘spesa umana’, quello a cui punto è condividere un’esperienza che appaga una serie di altri valori, non meno importanti, che diventano una specie di punto di non ritorno; il resto è una questione di organizzazione (nostra o degli stessi produttori, che devono fare in modo di venirci incontro).
Considero Valore è il titolo di una intensa poesia di Erri De Luca ed è altresì il nome del tuo progetto: è una sorta di affinità elettiva ad accomunarti al maestro? Come nasce questa omonimia?
È una poesia che lessi per la prima volta tanti anni fa e mi piacque molto; una sorta di salmo laico, in cui l’Autore ripete identico l’incipit di ogni verso, «Considero valore…», in modo quasi litanico. Così che ci si possa concentrare sul contenuto che segue: un elenco di piccole cose, che non siamo abituati a notare. È un piccolo inno alla meraviglia, al prestare attenzione. Ha un finale dolce-amaro. Scrissi a Erri De Luca per chiedergli il permesso di usare quell’espressione per il progetto, lui mi rispose che non aveva nulla in contrario. Conservo ancora quello scambio.
Cara Antonella, un’ultima breve domanda. Se dico “lentezza”, a cosa pensi e cosa provi?
Nella mia vita ho cercato il più possibile di togliermi dallo stress e dalla frenesia, ma in realtà – volente o nolente – l’ansia è una dimensione cardiaca che mi accompagna, costitutivamente. Dunque lentezza per me è una conquista, un punto d’arrivo. Però mi piace molto godermi le cose: la compagnia delle persone che amo; una cena a due; la rilettura di un testo o di un passo per assaporarne meglio il linguaggio.
Poi penso all’amicizia. Una cosa che dura tutta la vita e non ha fretta di consumarsi.
Ma lentezza è solo una delle due fasi del ritmo. Ogni tanto anche lo scatto, la decisione e il colpo secco ci vogliono. Il ritmo è sempre alternanza.
Ecco, non credo di dover aggiungere altro. Antonella ci ha lasciato tanti preziosi spunti di riflessione sul fronte della spesa critica e consapevole. Non mi resta che invitarvi a seguirla sul suo blog e a consultare la mappa dei produttori virtuosi da lei creata, in costante aggiornamento.
A presto, con il prossimo racconto di cambiamento e pacifica rivoluzione!